I David 2016 parlano romanesco

Immagine: Lo chiamavano Jeeg Robot

La premiazione dei David di Donatello, manifestazione cinematografica più importante d’Italia, quest’anno giunge alla sessantesima edizione, si terrà il 18 aprile e per la prima volta sarà trasmessa su Sky, in diretta, condotta da Alessandro Cattelan.
Oggi sono stati annunciati i candidati e a sorpresa, davanti agli internazionali Il racconto dei racconti di Garrone (12 nomination) e Youth – La giovinezza di Sorrentino (14), i film che hanno ottenuto più nomination sono Non essere cattivo del compianto Claudio Caligari e Lo chiamavano Jeeg Robot, lungometraggio d’esordio di Gabriele Mainetti (entrambi 16). L’ultimo film di un regista mai allineato; il primo, invece, per un giovane della cosiddetta “generazione bim bum bam”. A parte questa distinzione polare, c’è però soprattutto un’analogia ad avvicinare, forse fino a congiungere, le due pellicole: è la presenza di Roma. Una Roma decentrata, focalizzata nel degrado della sua periferia, ad Ostia per Caligari e nel quartiere Tor Bella Monaca per Mainetti.
E Roma torna in questi David soprattutto in una categoria, quella del miglior attore protagonista. I cinque candidati sono infatti tutti romani: Claudio Santamaria (Lo chiamavano Jeeg Robot), Alessandro Borghi (Non essere cattivo), Luca Marinelli (Non essere cattivo), Marco Giallini (Perfetti sconosciuti) e Valerio Mastandrea (Perfetti sconosciuti). Cinque interpreti che stanno vivendo un momento di grazia assoluta, soprattutto Luca Marinelli, candidato anche come attore non protagonista nel ruolo memorabile de “Lo zingaro” in Lo chiamavano Jeeg Robot, ma va ricordato Borghi in Suburra, va evidenziata l’esplosione di Giallini in questi ultimi anni, e, questo non solo per la recitazione ma per l’amore verso il cinema, va osannata la lotta che Mastandrea ha intrapreso per produrre Non essere cattivo, arrivando a scrivere una lettera indirizzata a Mr. Martin Scorsese.
Cos’è dunque che rende questi attori i migliori, oltre le loro indubbie doti artistiche? La risposta è che parlano la lingua che oggi si parla a Roma; qui è lo scarto. Recitano marcando la loro provenienza romana e dunque la naturalezza del codice linguistico, riducendo di molto la distanza che c’è tra lo schermo e la quotidianità; distanza che invece è mantenuta dalla lingua standard tipica della letteratura, del “doppiaggese” e delle soap di Rai1 e Canale5. Tuttavia, è lecito, a questo punto, chiedersi come sia possibile che questi cinque attori vengano compresi e, poi, apprezzati anche fuori dal GRA, se la loro lingua è quella di Roma, specie nel film di Mainetti e in Non essere Cattivo, dove il gergo dialettale si sente maggiormente.
Innanzitutto è bene sottolineare che il dialetto romanesco, quello del poeta Belli, è ormai fuori dall’uso comune; almeno nel lessico, oggi i romani parlano un italiano dialettizzato comprensibile ovunque (eccezion fatta per rare espressioni gergali) anche quando la componente diastratica è pervasiva, come nella periferia raccontata da Mainetti e Caligari, in cui sull’italiano prevale il dialetto. In termini di comprensibilità, dunque, la parlata di Roma è accessibile ovunque, e a dimostrazione c’è il fatto che Lo chiamavano Jeeg Robot ha già assunto i contorni del cult movie; nel corso del 2015 Zerocalcare ha riempito librerie e fiere di tutta Italia per firmare l’Armadillo sui suoi graphic novel; in questi mesi, i Cani e Calcutta stanno riempiendo i locali da Roma, a Milano, a Napoli, cantando Roma Nord, Latina, Pomezia e «il Frosinone in serie A».
Quindi stabilito che il limite geografico, di fatto, non è un limite di comprensibilità, risulta valido l’aspetto più importante: questi cinque attori hanno dimostrato di essere i più validi perché portano in scena interpretazioni più vicine alla vita e alla percezione di essa da parte dello spettatore. E questa capacità non è una mancanza di grammatica recitativa; è una sottrazione consapevole, rifiutare il codice linguistico standard del cinema (= dell’italiano), artificiale, per sfruttare il proprio sistema linguistico, naturale e più convincente nella ortoepia (la giusta pronuncia) e nella gestualità (il romanesco va espresso con tutto il corpo, non solo a voce). E praticare questa sottrazione, è una capacità riservata ai migliori. Ecco perché le cinque nomination sono quanto mai all’altezza, e qualunque vincitore verrà proclamato, sarà quanto mai meritato. Soprattutto Luca Marinelli.



Di Luca Montesi

 

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